lunedì 25 febbraio 2013

Primo giorno di nido!

Stanotte ho dormito veramente male, sognavo in continuazione mio figlio in lacrime perchè lo lasciavo all'asilo nido.
A settembre nascerà il sorellino, proprio nei primi giorni di inserimento alla scuola d'infanzia e questa coincidenza di fatti mi ha dato da pensare fin dal giorno del test positivo...
Ero enormemente preoccupata che il mio Gengio potesse erroneamente pensare "Ecco, è arrivato lui/lei e io vengo mandato fuori casa!".
Ho pensato che fosse una buona idea dissociare i due avvenimenti, introducendolo alla vita scolastica ora, in modo che questa cosa inizi a far parte della sua routine, che non ci fossero sovrapposizioni di emozioni riguardanti altro al momento del distacco; e così lo abbiamo iscritto in un nido che ci è piaciuto molto per due mattine a settimana.
Oggi era il primo giorno di inserimento con distacco.
Mamma mia, avevo proprio paura che mi si attaccasse addosso, "Mi si spezzerà il cuore".
Non abbiamo mai avuto problemi di separazione, ma è anche vero che per le quattro ore in cui io ero al lavoro Simone è sempre rimasto coi nonni, quindi comunque figure parentali, per di più a casa nostra.
In questi giorni gli ho spiegato più volte come si sarebbe svolta la mattinata.
Arriviamo al parcheggio, scendiamo, ci tiriamo due palle di neve ed entriamo.
Un'educatrice ci viene incontro sorridente e ci accompagna allo spogliatoio, togliamo il giubbino e gli stivaletti, gli infilo i calzini anti-scivolo e mi giro per sistemare le sue cose nel suo scomparto, quando mi volto sta già correndo verso il salone :)
"Patata io vado :)" "Ciao mamma!" Mi schiocca un bacio e riparte spedito :)
Dopo mezz'ora torno a prenderlo, mi corre incontro felice e mi dice "Voglio restare ancora!" :)
Direi che è andata bene!!!

P.S. Alla faccia di quelli che in questi anni mi hanno triturato i marroni (scusate l'espressione colorita, ma di questo si tratta!) dicendomi che stavamo crescendo un mammone dipendente.
I fatti parlano per me: co-sleepingallattamento prolungato e disciplina dolce hanno reso nostro figlio un bambino solare, felice, educato e con un attaccamento sicuro!




domenica 10 febbraio 2013

"Adesso ti siedi 5 minuti a pensare!"

Tempo fà anche io come molti ero estremamente convinta dell'educatività intrinseca nel connubio "azione nefasta->conseguenza negativa". I testi di psicopedagogia sono intrisi di comportamentismo nelle più svariate sfaccettature ed io, ai tempi neolaureata in psicologia dello sviluppo ed educatrice alle prime armi, ben concordavo con la logicità di queste teorie.
E poi è arrivato Simone.
Ho cominciato a farmi domande. Sul mio ruolo, sui miei modi, sui miei obiettivi per lui.
Forse è più difficile mettersi in discussione per chi ha ricevuto un'educazione univoca; per me, figlia di una madre prima permissiva perchè giovanissima poi permissiva perchè sola a gestire cinque figli e di un padre estremamente autoritario e per nulla espansivo, colti i fallimenti di entrambi sulla mia pelle, è stato abbastanza naturale.
Ho cominciato a "diversamente informarmi". E ho letto un libro che è stato a dir poco illuminante "Amarli senza se e senza ma".
Partiamo dal mio ruolo. Chi sono io per mio figlio? "Metti le ciabatte!" "Mangia!" "Riordina tutto!" "Non rispondermi!"... Spesso sentiamo i genitori rivolgersi così ai propri bambini. 
Ma io non sono il suo generale.
Sono una guida, sono una fonte di informazioni, sono un approdo sicuro.
Non voglio comandare mio figlio, voglio capire le motivazioni dietro ai suoi comportamenti, voglio conoscerlo, voglio comprenderlo.
I modi.
Mia madre urlava dalla mattina alla sera, ogni tanto ci tirava qualche zoccolo, alcuni genitori castigano, altri sculacciano.
In primis ci tengo a precisare che la violenza è violenza, è mancanza di rispetto e non porta a nulla se non a generare terrore ed altra violenza, che sia una pacca sulla mano o una sculacciata, non ci sono scusanti ed a tal proposito vi invito a leggere questo articolo "Parlar chiaro sulle sculacciate".
Le urla intimoriscono allo stesso modo, hanno sicuramente il potere di farci scaricare il potenziale rabbioso, ma rientrano in pieno titolo nelle "pratiche da esercito" di cui faccio volentieri a meno; faccio pubblica ammissione ( ed i miei vicini lo potranno testimoniare) che in giornate particolarmente nere ho urlato anche io, pentendomene amaramente appena viste le lacrime sgorgare da quegli occhi innocenti; è capitato, capiterà, ma sicuramente non è la mia scelta educativa.
Idem dicasi per il castigo. Il castigo funziona, funziona benissimo, questo ve lo posso assicurare io e potete capirne il motivo leggendo qualcosa riguardo l'apprendimento per rinforzo e l'estinzione dei comportamenti indesiderati.
Un bimbo picchia un altro bimbo in un contesto di scuola dell'infanzia, la maestra lo riprende e gli dice "Adesso ti siedi 5 minuti a pensare!". Primo: vi posso assicurare che quel bambino non si sta facendo nessun esame di coscienza, sta pensando che la maestra è stata ingiusta. Secondo: il bambino picchierà di nuovo? No. Ma allora abbiamo ottenuto quello che volevamo! NO. Il bambino non picchierà più perchè avrà paura di essere visto dalla maestra e di essere messo in castigo, non perchè ha capito che è un gesto sbagliato.
Quest'ultimo punto ci porta dritti dritti agli obiettivi che abbiamo per i nostri figli.
Desidero formare la coscienza di mio figlio, desidero dar lui dei princìpi, che si comporti correttamente perchè sa distinguere cosa è giusto e cosa è sbagliato; non voglio che faccia così e non colà per timore di una conseguenza (anche perchè a questo punto, una volta sicuro di scamparla, non sarebbe più motivato ad operare nel bene, e forse anzi impegherebbe del tempo a pensare come combinare un certo pasticcio ed uscirne illeso, praticamente un futuro delinquente -.-'), o perchè glielo dico io (anche perchè un bambino che oggi fà "quello che gli dicono i genitori", domani sarà un adolescente che fà "quello che gli dicono gli amici" e insomma quando comincerà ad agire seguendo la propria testa?!).
Sono chiaramente obiettivi a lungo termine, ma ne vale la pena.
Vale la pena dare solo i limiti necessari e darli nel modo più accettabile, spiegando sempre le motivazioni.
Vale la pena di cercare la collaborazione e non l'imposizione.
Vale la pena ascoltare.